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prega Laura l’amore sapendo che l’aurora non lo porterà

Minuscole note giapponesi. Bellezze in nero di gambe velate e inguainate in alti stivali neri un po’ latex un po’ dark un po’ gothic, o in pantaloni neri e scarpette di vernice. All’alba di questa metà ottobre in località veneziane si soffre l’umidità, e all’altezza del costato si soffre di solitudine nera. Come una notte in biblioteca a far finta di studiare grammatica jappa. Chiedo venia, sono deludente, e non faccio niente (se non questa rima di dubbia utilità), mi impegno poco ed entro in competizione solo per le cazzate di poco conto. Persino il poco trucco che mi rimane, ormai cola in pochissimo tempo. I’m just a soul whose intentions are good. Tutti in amore con tutti. Utopie da ragazza morta. Ragazze sensibili, con piedi troppo bianchi, e poche lacrime disposte a scendere davvero. Divertente pararsi gli occhi dietro a coteste lunghe metafore da amanti perduti. Fanculo tutto, se questo tutto deve per forza entare nella sua testa come metafora di perfezione. Perchè, se non lo sai, il tutto è solo metafora di se stesso, e il mio manifesto del panismo poetico era perfezione pura e invece nessuno l’ha capito. Com’è che a volte mi sembra di perder tempo? Che guadagnerei di più a mollare tutto com’è, mandare a fanculo tutti i delicati equilibri di amici amanti e compagni, e a vivere un po’ di Vera Vita decente? Fare un salto a Pompei, magari, a dispensare piccoli saffici baci; magari andare a Montemaggiore Belsito, a far vedere a mia nonna come sono diventata brava a ricamare. E per Vera Vita intendo un po’ di vita felice, facendo cose che ti piace fare, esprimendoti al meglio, indossando sempre vestiti perfetti per te. Nessuna marcia nuziale, soltanto il mio tacito requiem e immenso cordoglio. Eterea, immensa, raffinata. Meraviglia in forma di bacio saffico. Schifoso post senza senso logico. Smettetela di leggermi, se lo fate solo per rinfacciarmi cose o per ritrovare pezzi di voi nelle mie parole. Siamo tutti i profeti di tutti. Sono una tarantola dorata. E voglio un party.

Marlene Kuntz – Laura

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Prega, Laura, l’amore
L’aurora non è ancora
timida beltà
e circa da tre ore
un pianto secco fa rumore
– tic tic tac –
fra gola e anima.

Prega, Laura, l’amore
sapendo che l’aurora
non lo porterà,
con tutte le sue prove,
come ebbrezze nuove
(tic tic tac
dal cuore all’anima)

Sogna di ricordi che per lei sono impossibili
dando loro vita con soffi di pietosa carità.
Nutre il suo languore con confetti di miracoli
e angustia il suo silenzio quando pensa
“sono la mia specialità”.

E scrive, scrive, scrive tutto quanto
e non si sbaglia mai,
con la precisione
del poeta che non sbaglia mai.

E chi la leggerà
e si innamorerà
sicuro troverà
da qualche parte scritto
“E’ troppo tardi…Laura”

Prega, Laura, l’amore
che vanga come il sole
incontro al buio va
e che giri come il globo
della terra il quale, poi,
verso il buio
la riporterà.

Prega, Laura, l’amore
perchè si prega ciò che
forse mai si avrà:
e quando crede vera
questa cosa, si dispera
in un sorriso che
sa d’infelicità.

Sogna che l’amore sia il ripudio della realtà
come una follia tanto bella quanto ineffabile.
E sente con la sua miserabile lucidità
che quella condizione non le sarà accessibile.

E scrive, scrive, scrive…

 

–Marlene Kuntz– —Fingendo La Poesia–
Una carezza si corica
sulle creste agitate dell’oceano:
stelline d’oro si accendono
e pare il chiasso di una galassia magica.

Franta e rifratta si aduna in una corsia
la luce che il sole disegna andando via.
Stanno due palme dove termina
quella striscia di perline che galleggiano:
fronde fuori fuoco gialleggiano
come fuse nell’oro che le illumina.

Anche un gabbiano che passa per quella via
per un istante si indora con la sua scia.

Ti prego, taci. Volgi gli occhi fin là
e resta con me a guardare.
Preferisco così
e non mi chiedere
a cosa penso: è inutile.
Preferisco così, ti prego, non insistere.

Una carezza si corica
sul mio viso che interpone il suo velo,
sperdo lo sguardo in fondo al cielo
e ti resta una faccia fotogenica.

Se solo fosse stato ieri, sai
nel metallo prezioso eri un’effige
ma oggi – la mia maschera non dice –
lì ti fondi e per me non tornerai.

Guardo nel sole che fugge e mi porta via,
guardo nel sole fingendo la poesia.

Ti prego, taci. Volgi….

 

Mi sento una ladra d’immagini. Per il semplice fatto che la mia vista non è naturale. Io porto gli occhiali, ma se l’ingegno e l’invenzione umana non avessero prodotto modi per aggiustare una vista corrotta come la mia, io ora sarei occlusa al mondo e vivrei in un zona di anti-materia tutta mio, sfocata e bianchiccia. Eppure ogni tanto mi piace togliere gli occhiali per qualche ora e tornare al mio stato naturale di essere umano cieco per poco più di metà. Oggi, dopo aver pianto per più di un ora con mia madre mi bruciavano gli occhi e in più avevo scagliato gli occhiali lontano per eliminare quell’ostacolo fra le mie lacrime e le mie mani atte ad asciugarle, ho deciso di non rimettere gli occhiali e ho mangiato, letto e fatto i compiti senza occhiali. Finché si trattava di compiere quelle azioni, vedevo bene quello che facevo (sono miope, ma neanche minimamente astigmatica), ma appena mi voltavo intorno il mio sguardo non arrivava neanche allo scaffale a 20 cm dal mio naso. Si ha la sensazione di ondeggiare tra un innaturale mondo sfocato e senza margini, come se tutte le cose si confondessero e nessun oggetto fosse più solamente un oggetto, ma come se in ogni cosa si ritrovasse un po’ delle cose che vi si trovavano attorno. Guardare il mondo da quella prospettiva mi fa intendere alla perfezione come io mi senta nella maggior parte delle occasioni della mia vita: esterna a tutto quello che mi accade intorno, trovo naturali e visibili solo le cose quotidiane della mia vita; il resto è ombra, è un immagine fuori fuoco, poco nitida e quindi poco utile. Mi piace stare senza occhiali. Mi piace essere al mondo, ma non farne parte: so che gli altri mi guardano, mi osservano, mi scrutano, vorrebbero penetrare i miei pensieri e le mie intenzioni, ma io non li vedo, per me non ci sono, sono solo linee che s’intrecciano in un solo poco chiaro disegno. Lo so, la Monica già mi vede a fare la figura dello struzzo. Non sono uno struzzo (anche se sono così carini!), lo struzzo caccia la testa sotto terra perché pensa che nel momento in cui non vede nessuno, nessuno lo vedrà; io so che gli altri ci sono, so che gli altri mi danno la caccia, ma li ignoro preferendoli come un’unica massa informe non nitida. Uccidetemi se vi da gusto, io tanto ci sarò sempre lo sapete..e quindi tiro avanti e non mi svesto, dei panni che son solit(a) portare, ho tante cose ancora da raccontare, per chi mi vuole ascoltare e A CULO TUTTO IL RESTO (Guccini docet). E come direbbe l’Eternauta: io sono la vagabonda dell’infinito, la solitaria (e cieca, aggiungo io) pellegrina dei secoli… e per favore, chi mi ama, non mi segua, ma mi cammini accanto o si limiti a guardarmi da lontano. buona notte, massa informe e sfumata detta mondo un bacio

La gioia è una bolla, tesoro ci gonfia di ebbra ingenuità poi scoppia e si perde dovunque nel tempo

[Marlene Kuntz]

LA VIGNA

Divengo vortice
nella mia vigna incurata,
invasa, e divisa dall’ordine,
ora campo bastardo.
Allo schiudersi florido
di foglie lascive,
al frutto viandante e succoso
che del suo spruzzo
m’irrora le labbra,
a fioriture selvagge
cui unica cura è il piacere
di un sole, carezza bramosa,
io sfreno il metro e lo schema
d’una cascata di versi.
La voluttà del creato
s’intreccia al tripudio dell’acino:
vuoi essere foglia,
fiore o frutto librato?