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oikos

Mi rendo conto di parlare solo e perché posso farlo dall’osservatorio privilegiato di quella che è sfaccendata disoccupata (e a tratti anche malata). Osservatorio che, mi rendo conto, basta davvero poco a scadere nel rosicare in zerocalcare style (per dirla in una maniera bella! Ma in caso anche “lamentele da zitella acida con le pantofole e le macchie di pomodoro sulla maglietta del pigiama” va benissimo lo stesso…), ma noi non vogliamo che sia così! Noi cerchiamo di darci un tono e di godere di tutto questo tempo, guardando tutti i film che avremmo sempre voluto avere il tempo di vedere, facendo tutte le faccende di bricolage che avremmo sempre voluto avere il tempo di fare, cucinando tutte le cose buone che avremmo sempre voluto avere il tempo di cucinare. Cercando insomma di non buttare proprio via tutto questo tempo libero che il buon dio (per non dire la crisi e l’assenza di lavoro) ha voluto donarmi. E poi bisogna cercare di sfruttare l’ulteriore osservatorio umano che si sviluppa dal mostrare il loft a possibili papabili sperabili pretendenti. Bisogna trovarci il lato divertente e interessante, se no qui si rischia di morire di noia! Dell’ormai quindicina di persone viste, ad esempio, mi diverte/interessa prendere nota di quelle più agli estremi, anche perché sono quelle che più si sono dimostrati interessati al loft e anche quelle a cui mi viene più voglia di darlo. Da una parte trovi la famigliola tamarra con piccolo puffetto di un mese e mezzo (Manuel, perché tale tamarro padre tale nome tamarro figlio) eppure così realista, così comprensiva nei confronti della situazione di subentro e della decisione da prendere in fretta e del trasloco che butti tutto in macchina e in un giorno è fatto. La loro preoccupazione è mettere la tv al piano di sopra e sapere se ci sono immigrati-che-rubano, nella zona. Dall’altra parte troviamo tre studentelli, di cui 2 francesi (e 1 dei 2 non parla. Non nel senso che non parla italiano, proprio non parla. Sta muto), di cui uno coi rasta e i buchi dilatati e una coi jeans tagliati alle ginocchia e gli anfibi da punkabbestia e la camicetta portata con uno stile tale che la Cyndi Lauper sarebbe fiera di lei e tante altre cosine apprezzabili. Loro non sono molto connessi col grande mondo dell’affitto, loro sono solo preoccupati delle lezioni che stanno perdendo a Brera e se è sicuro andare in giro in bici di notte. Ne ho visti tanti, e ho sperato tante volte di liberarmi di questa questione, però è a uno di questi 2 “gruppi-famiglia” qua che mi piacerebbe lasciare il loft.

Per inciso: a me il loft mancherà! Mancherà la trave (e i gradini della scala!) a cui attaccare le cose, la sala da ballo, i ganci della cucina a cui appendere tutti gli utensili, le tende psichedeliche (che ci porteremo via, ma di là ci sono le tapparelle e non sarà la stessa psichedelia…^^), l’atmosfera urban. Ma è normale, tante cose di tante case mi mancano. Non è certo lo stare al sesto piano di un superpalazzone con tanto di portiere napoletano cliché che rompe i coglioni a chiunque entri che mi attiri. Mi attira la vasca da bagno per il relax, il terrazzino per le piante, il parquet (verniciato! vero! caldo! non le liste di legno non trattato del soppalco, che tra una trave e l’altra vedi il piano di sotto) per svegliarmi e camminare a piedi nudi, 90 e 91 che passano proprio sotto casa; queste cose sì che mi attirano!

Siamo fanatici dell’oikos, ci divertiamo ad abitare. Stare in casa è qualcosa di spettacolare. A quelli che mi ostracizzano dalle case auguro una morte innaturale perché io amo le case. Ho amato molte più case che ragazze. Mi piacciono i rapporti abitativi lunghi, ed anche le case da una sera soltanto. Con alcune finiva male quando me ne dovevo andare o quando invece le ho abbandonate. Altre invece sono state il mio castello, la mia base spaziale. Me le sogno di notte e questo mi aiuta a ricordare.
(sempre un grazie particolare agli Uochi Toki che esprimono molto meglio – in un maniera molto più incazzata – sempre tutto quello che vorremmo dire anche noi)

non chiedermi di dove sono, perché vuoi solo risposte brevi

Di Genova i miei Uochi Toki non ne parlano. Forse non c’hanno mai abitato, forse è più utile descrivere i proprio piccoli paesi piuttosto che l’ennesima pittoresca città così famosa da avere persino un nome in inglese. Però a me è piaciuta. Mi piaceva soprattutto l’idea di poter prendere sempre un vico diverso per scavallare la collina e arrivare all’Acquario al mare a Luzzati alla Cibio a farmi rubare il portafoglio. Non c’è nulla che a Genova mi sia mancato, ho anzi avuto cose che nemmeno immaginavo come i ricci di Fil e le chiacchere con l’Ales. Mi è piaciuto abbracciare la notte ed essere presa per mano di giorno e prendere sotto braccio la sera e stringere la pancia appena sveglia. Mi sono piaciute le notti che si allungavano fino alle 4 del mattino con una tale tranquillità da non farmene neanche accorgere e poi le mattine che neanche le sfioravi perchè aprivi gli occhi tra mezzogiorno e l’una certa che nessuno in casa fosse già sveglio. Mi è piaciuta quella casa con le stanze talmente grandi da avere anche lo spazio per ballare e ho trovato disarmante la tranquillità con qui queste stesse stanze fossero condivise con sconosciute conoscenti di coinquilini appena arrivati che neanche sai chi sono ma già li adori e ti fidi di loro. Mi sentivo a casa mia. Mi piaceva pensare di essere lo stesso tipo di persona. L’unica cosa che avrei voluto sentire un po’ di più era il G8. Avrei voluto camminare per Piazza Alimonda e commuovermi un po’. Ma non ce n’è stato il tempo e il modo, e forse è solo una scusa in più per tornare a trovare il Cecco e i suoi adorabili pescetti decora e mammiferoni vegetariani.

Il 30 aprile ero a Voghera (è una città comunemente detta trascurabile, solo che io riesco a distinguere il suo livello di insignificanza dalle altre città di eguale insignificanza. In questo luogo abbiamo trascorso gli anni del liceo e oltre senza le cosiddette possibilità che una grande città offre, senza lamentarci, senza l’aspirazione di spostarci a tutti i costi in agglomerati urbani più grandi per sancire un crescere fittizio. I nostri coetanei pretendevano dei subitanei momentai motivi di distrazione, ci trattavano come buffi estranei quando non ci dimostravano simultanei negli ambienti, nei discorsi, nel prendere parte a tutto. Noi sapevamo che il loro tutto per noi era sempre una parte del tutto. A sedici anni sapevo già che la soluzione della mia inerzia non l’avrei trovata in una città più grande. Siamo sempre stati distaccati, ci siamo sempre fatti i cazzi nostri, vagando a piedi per gli spazi che, oltre ad essere vissuti, venivano anche osservati. Sottolineavamo un gap già esistente fra noi e una città come tante altre) a trovare mia cugina, in uno di quegli incontri che da piccola i parenti di passaggio facevano ai miei e che io trovavo tediosi fino all’inverosimile. Persone che non hanno niente in comune, se non qualche quarto di sangue e qualche notte insonne, che si trovano per parlare di nulla. E invece è stato buffo e divertente, e mia cugina sembrava ancora più bassa del solito. Il che dà adito a pensare che alla bassezza non c’è mai fine.

La maggior parte del tempo la passo a Milano (è la città dove sono nato, e alla quale non appartengo per niente, nemmeno nelle frequenti volte in cui torno in questo luogo spoglio ed impassibile, nel quale anche la pretenziosità perde il suo significato. Dietro ogni edificio ci sono dubbi sul perché sia stato progettato, oppure i furbi che inseriscono costruzioni sottili in spazi febbrili per rendersi invisibili. Dietro mille iniziative tutte uguali si possono vedere i vuoti cosmici degli abitanti imperterriti nel tentativo di dimostrare che esistono degli ideali, nei tentativi di risultare propositivi, per poi fallire coscientemente davanti alla potenza dei vuoti spinti caratteristici degli ambienti pieni di propositi avveniristici. Ci sono tuttavia molte persone che sanno quale sia lo spirito di questa città, e che lo interpretano con la sufficienza, con la sbarrata emozionalità. Per questo vado a Milano quando voglio ristabilire la mia tranquilla freddezza, la mia voglia di niente: Milano è un interessante punto di partenza, pieno di cose non iniziate ed extracomunitari global disillusi.) dove ci sono cose da fare a bizzeffe e dove mi piace, seppur nella mia pigrizia e lentezza, pensare di poterle fare tutte. Una alla volta. In questi mesi a Milano ho visto il quartiere cinese, Priscilla a teatro, il Museo della Scienza e della Tecnologia con annessa mostra Buon Appetito!, la settimana del FuoriSalone, il Parco Lambro. E ovviamente ho fatto un sacco di aperitivi a 10 euro (ma non andrò oltre, perchè qui si parla di Uochi Toki e non di Stato Sociale). E mi sono divertita, non c’è che dire.

Ogni due settimane vado a Bologna (mi piace solo perché c’è un sacco di gente con cui litigare e tante costruzioni da osservare. Odio la multi-identità che questa città si porta dietro, odio la sua tradizione di libertà conservante, odio la gente non autoctona — cioè la maggior parte. Vedo flussi di gente come fiotti di sangue da ogni parte: risalgo la corrente per capire da dove parte questo flusso umano che mi coinvolge come un davanzale in marmo. Mi adatto nella misura in cui mi permetto di andare in giro e osservare come animali questi esemplari di umani, studentesse fuori sede ed universitari inconsciamente ipocriti in cerca di prede e di un passato da raccontare. E poi la ritualità di questo luogo influenza solo colui che ci crede, colui che non vede la data di scadenza sul ricambio generazionale, rischiando di trovarsi in una città, in un locale pieno di gente di passaggio, facendo finta di non stare invecchiando. Solo i veri duri possono abitare a Bologna, sfruttando la corrente del divertimento alternativo con il giusto peso negli occhi. Una città non può essere solo università, slogan, ebbrezza e ragazze. Guardate meglio!) e anche lei mi piace. è l’ennesima città da girare a piedi, dato che ha la fortuna di avere la stazione ferroviaria ad un passo da tutto. A Bologna ci incontro la mia profe, che mi racconta tutta la sua Storia e alla qualche faccio domande che la fanno sorridere e poi addirittura ridere. E a Bologna giro col naso per aria e la frangia appiccicata alla fronte, un po’ per il caldo un po’ per la pioggia. Mi piace la sua aria da città vissuta che ne sa tante ma le piace sfoggiare un’aria un po’ sempliciotta un po’ campagnola. Pasticcerie di alta classe con pareti a tutto vetro; dieci metri dopo, portici lerci che fanno tanto ’77 e Radio Alice e pianoforti da dipingere.

Il titolo è evocativo in proposito del mio sorriso quando gli sconosciuti mi chiedono di dove sono, dando per scontato di volta in volta che io sia di Bergamo di Parma di Milano. Mi piace non essere di nessun posto in particolare. E so di essere molto adolescente in questo.

nui simu doi maranci su nu ramu

Lei chiese la parola d'ordine, il codice d'ingresso al suo dolore. Lui disse "Non adesso, ne abbiamo già discusso troppo spesso, aiutami piuttosto a far presto, il mio volo lo sai partirà tra poco più di due ore." Sentì suonare il telefono nella stanza gelata e si svegliò di colpo e capì di averla solo sognata. Si domandò con chi fosse e pensò "E' acqua passata". E smise di cercare risposte, sentì che arrivava la tosse, si alzò per aprire le imposte, ma fuori la notte sembrava appena iniziata. Chiaro, no? Sono giorni velocissimi, anche questi! Le ore si infilano veloci le une dietro le altre e non c'è modo di fuggire, mai. Ma stavolta è un impedimento piacevole, perchè sarebbe proprio il fuggire stesso ad essere spiacevole, e non c'è alcun tossico latte antibioticizzato (ma come star senza se sei abituato?). Anzi, siamo fuori da qualsiasi forma di ingabbiante abitudine. La favella è buona: riesco a dire un sacco di parole e, anche se poi mi accorgo che una parte di queste parole sono proprio sprecate, quelle che invece creano curiosità e contentezza mi fanno riprendere le speranze. E poi ti puoi ritrovare nella corte dello IUAV a guardare le fila lucenti e cascanti di momiji, così rossi, così brillanti, che ti chiedi come si possa non desiderare di stare lì per ore a guardarli lucere e cascare; o fare mille e mille foto. In casabuco avvengono strani incontri, come quello con un barbutino (indossante una felpa di bansky) che, mentre stai al piccì in anticamerina in piena notte, ti saltella dietro dicendoti "ciao, sorella!" e tu non puoi far altro che girarti, un poco stupita un poco estasiata, rispondendogli "…ciaaaaaaaaao…". Qui si vive come dentro ad un parcogiochi e, esattamente come se fossimo anche noi tornati piccoli, i nostri litigi e urla e strepiti non sono che poco più di dispiaceri di fanciulli; il giorno dopo è già tutto passato e si torna alle supposizioni sul meteo e alle elucubrazioni sugli infarti (e, in questo specifico caso, l'unica cosa di cui sono scontento è la pessima qualità della conversazione). Monday, October 15th, 2007 – il giorno dopo essere entrata nel ve6 – scrivevo su questo stesso (o quasi) blog: "Per come mi vesto, per come cammino, per le scarpe che scelgo in abbinamento a collant e scaldamuscoli, per i capelli, penso di essere più adatta ad essere apprezzata da una donna. Penso che ad una donna potrei piacere per davvero, mentre un uomo neanche mi noterebbe, invece, se non forse per le tette grosse." Le stesse tette che ora dolorano, dopo la sessione di pizzica dello scorso lunedì (dopo la quale, tornando a casa, stare con lei sopra allo stesso tetto, il piacere è questo qua), e quanto divertente non è? Ma ancora più divertente è vedere quanta gente si stupisce a sapere che noi facciamo la pizzica; quello che non ti aspetteresti mai.

ora mi riempio di chi mi ha riempito

c’è chi si spaventerebbe, o storcerebbe il naso, o si esalterebbe un po’ troppo (e senza davvero alcuna ragione), per cui ho deciso ufficialmente di smettere di darmi (darci?) un nome. io non sono vegetariana: io non mangio animali. e io adoro questa mancanza di definizioni! senti che sapore che ti dà la vita. sto sentendo così forte che, non dico che mi stia uscendo sangue dal naso, ma di sicuro non ho tempo per far altro che sentire. non mi do il tempo per pensare, sottile giro di parole per dire che non ne ho il tempo, chè faccio cose fitte fitte, perchè il tempo sta per finire e bisogna fare il più alto numero possibile di cose. che un giorno passa in fretta e non c’è tempo di pensare, muoviamoci che poi diventa sera. mi chiedo se sia lo stesso per  la repartara di benny, la cui madre le fa fare tutto quello che si può, prima che per lei scada il tempo (forse non ho il permesso di sentirmi simile, paragone azzardato). guardo in alto, cogli occhi ben aperti, così sembreranno più grandi e sarà più facile imparare a leggerci dentro, dato che sembra che io non sappia rispondere alle vostre domande. certo che se poi voi me le fate di notte, non potete pretendere nulla, o forse è che si dorme assieme un po’ troppo spesso e quindi è inevitabile finire a parlare anche di notte o forse è solo che sogna che sogno che sogni che sono vicino, così da fare in modo che si possa stare il più vicini possibile finchè ce n’è tempo e modo. fra i corsivetti di frasi estrapolate dal contesto originale e qui piazzate e l’intrufolarsi di parole che il senso è quello ma la frase non è proprio precisa, vado avanti a citazioni su citazioni. citazioni esponenziali che ora, dopo aver riempito i miei diari e le mie etichette e i miei sottonick su msn, mi riempiono anche la bocca, rispondono per me ad ogni tua domanda, sembrano quasi fatti apposta per soddisfare i tuoi desideri.
(Nessun diritto riservato. Non prendiamoci in giro, se volete copiare copiate.)

ed è assolutamente naturale il fatto che io sia peggiore di te perchè non voglio avere scuse

oggi è una bbella giornata! e non solo perchè sono in giappone. che "accontentarsi" non è buona cosa. oggi il mondo ha creato delle coppie azione-reazione inconsuete e io ho sorriso di rimando, senza pensare ad alcuna frase pre-costituita in particolare. stanotte ha piovuto tantissimo, era uno zanzan molto piacevole nelle mie orecchie addormentate. però poi stamane è uscito un sole splendente caldo ed estivo (夏), e il lucchetto della mia bicicletta ha deciso di non aprirsi. niente di grave, ho preso l’altra bicicletta. ma la ruota davanti dell’altra bicicletta ha deciso di bucarsi. niente di grave, mi ha accompagnato in stasiù la mama e stasera sono tornata a casa a piedi, con la mia andatura lievemente ondeggiante (uso portare la borsa a tracolla davanti e questo mi causa una camminata strana, quasi fossi incinta) ed è stato bellissimo! ho visto la notte calare piano piano sui tondeggianti giardini giapponesi e intanto nelle mie orecchie andava la drum, finalmente a tutto volume, e questa piccola scarica di ultraviolence non ha fatto altro che acuire la piacevolezza del tutto. non ho bisogno di essere adulta nè di essere bambina, non ho bisogno di essere femminile nè un maschiaccio, non ho bisogno di essere italiana nè giapponese. sto nel mezzo di tutte queste cose e ci sto da dio. e quella tipa coi capelli rosa (incontrata oggi per la seconda volta) è proprio bella e consapevole del suo ruolo, è esattamente dentro il contesto. e come contrastava con la ragazza filiforme dai capelli oro, che somigliava ad un pulcino cogli occhi grandi, e che appariva tutto fuorchè nel posto giusto. se d’affanni, vecchi malanni, non si sente più novella / se ragione misteriosa a gioir ciascuno appella / questa è ora senza pari, questa è l’ora del mio vino australiano rosso. rosso con le bollicine.